Ma dai…il figlio del falegname?

 

 

Gesù finalmente torna nel suo paese, Nazaret, seguito dai suoi discepoli.

Era stato assente da quando se ne era andato a predicare per borgate e villaggi vicini.

Il quadretto pare perfetto…   il Maestro è a casa propria, dove conosce bene usi, costumi e luoghi.

La gente lo ha visto crescere.

Ed è seguito da chi lo stima e lo ammira: i discepoli. Situazione perfetta.

Così si mette a insegnare nella sinagoga.

Successo assicurato.

L’obiettivo fotografico di Marco si sposta da Gesù a coloro che lo stanno ad ascoltare.

Erano molti, ci vien detto.

Grande pubblico.

E tutti rimanevano stupiti.

Ma che tipo di stupore era quello dei compaesani di Gesù? Da cosa deriva in questo caso?

È ammirazione?

No. Per niente.

Nel suo paese, Gesù era noto ai suoi vicini: come tutti,

del resto, lo sono nei piccoli centri.

Nei paesi c’è una conoscenza reciproca per cui si ritiene

di sapere tutto degli altri, anche grazie al gossip di borgo.

I compaesani di Gesù lo ascoltano e notano che egli non corrisponde all’idea che si erano fatti.

Gesù è altro.

Si dicevano l’un l’altro (evidentemente sottovoce mentre

Gesù parlava): “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data?

E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle,non stanno qui da noi?”.

La conoscenza paesana, quella fatta di cliché e ovvietà, non coincide con Gesù e questo destabilizza, turba.

Marco è molto diretto: era per loro motivo di scandalo.

Lo scandalo è letteralmente l’ inciampo”: i compaesani inciampano su di lui.

Perché?

Perché il manovale del paese parla con una sapienza che non dovrebbe avere.

Machi è? Ma chi si crede di essere? Non viene da una scuola rabbinica!

La gabbietta del gossip sul falegname, il figlio della signora Maria, non contiene quest’uomo che va in giro a predicare con sapienza straordinaria ed a operare prodigi.

La tentazione per la fede è sempre questa… essere affascinati da Gesù e rimanere però alla fine legati a una immagine addomesticata, banale, ovvia.

Confezionare Dio.

Qualche pio credente pretende di sapere chi sia il Signore, dove egli sia, dove egli non sia, e magari pure chi siano i suoi amici e i suoi nemici.

Dio non si addomestica. Dio è selvaggio.

Lo è per natura perché di Lui non si può

pensare nulla di più grande.

È incontenibile.

Chi tenta diimbrigliarlo si spacca.

Come i compaesani di Gesù che si turbano interiormente

(anziché essere fieri e orgogliosi di lui).

E Gesù lo sa, li sente bisbigliare.

Sa che cosa c’è nel loro animo.

Ed è schietto e duro con loro: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”.

La casa per il nostro Dio selvaggio può tramutarsi in luogo di misconoscimento e disprezzo.

Dio è socievole, ma non è mai pronto a “inserirsi in società”.

Il tentativo di addomesticare Dio, la resistenza a non lasciarsi guidare dal suo istinto apolide, dalla sua divinità che ci supera definitivamente, lo blocca perché non trova una libertà che lo accolga: lì non poteva compiere nessun prodigio.

Banalità e prodigio non si sposano.

E Gesù si meravigliava della loro incredulità.

Cioè egli stesso resta turbato davanti al rifiuto della profezia, di un discorso che supera l’ovvio e turba l’ordine.

Non riesce egli stesso a farsene una ragione.

E allora che fa?

Ci dice Marco: percorreva i villaggi d’intorno, insegnando. Torna a insegnare, sì, ma torna ramingo, incontenibile in un perimetro definito.

Come Dio è.

DA *Direttore de “La Civiltà Cattolica

e adesso dal sacro passiamo al profano della striscia di Stefano che ci racconta una giornata al mare della Giorgia del Matteo degli zii (sputacchio con rimbalzo compreso)