Vai a cagare è un’offesa?

 

Quattro mura, una tazza, qualcosa di cui sbarazzarsi.

Pochi ingredienti per una delle abitudini piu’ diffuse: fare la cacca.

Per la serie “Cessi” e’ giocoforza fare un post di sopravvivenza per quando siete fuori casa e dovete sbarazzarvi di quello ingurcitato e ricordo che tutto quello che e’ entrato occorre farlo uscire altrimenti son peni amari.

Ed ora vediamo come scaricarsi in un luogo pubblico..

Non ho mai incontrato nessuno (ma proprio mai) che dicesse di sedersi sulla tazza di un bagno pubblico cosi’ come fa su quella di casa sua.

Dal mio canto ho qualche problema in quanto se non ci sono condizioni ideali io rimando al mio ritorno e il record e’ stato a Les Deux Alpes (due settimane bianche di ferie sui monti a fine d’anno, per evitare riunioni familiari a Natale, S.Stefano,buona fine e buon principio ). Nonostante l’hotel a miriade di stelle e tutti i vari tipi di purganti francesi io ho resistito sino al ritorno in Patria e arrivato nel box di casa non ho fatto in tempo a risalire nell’alloggio e per fortuna avevo dei sacchetti di plastica.. (il mio vicino di box si domanda ancora oggi per quale motivo una comitiva di persone abbia lasciato sto sacchetto escrementoso attaccato alla sua maniglia).

Ad ogni modo evito il fuori tema e illustro tre posizioni protettive di chi purtroppo e’ obbligato sedersi sul cesso non suo…

Permettetemi una nota per i bambini fino ai 24 mesi che stanno leggendo:

BAMBINI, NON FATE QUELLO CHE LEGGETE IN QUESTO POST… POTRESTE FARVI MALE.

CHILDREN, DON’T DO WHAT YOU READ IN THIS POST… IT COULD HURT YOU.



1) LA SOSPENSIONE:


E’ una delle tecniche piu’ diffuse.

E’ anche l’unico momento della vita in cui potete fare ginnastica mentre siete fuori casa.

Come vedete, consiste nel rimanere col fondoschiena sospeso in aria. Difficoltà principali.. mantenere l’equilibrio, fare in fretta, centrare la tazza, Attenzione a non TREMARE.

2) LA RANA:


Consiste nell’usare una tazza normale come se fosse quella di un bagno turco (come se si facesse la cacca a terra).

Si sale con entrambi i piedi sui bordi e ci si rannicchia.

Solo per veri esperti.

Vediamo che l’uomo nella gif riesce a mantenere un buon equilibrio mettendo le mani sotto il mento.

Se avete qualcosa nelle tasche dei pantaloni preparatevi a infilare la mano nella tazza.

Anche se sembra figa la posa e’ sconsigliata vivamente perche’ assai pericolosa soprattutto se siete negativi con la dieta in quanto se il vaso cede o scivolate a causa dei liquami (bleah!) potreste farvi male sul serio e poi a chi di noi piacerebbe essere soccorso coi pantaloni abbassati nel bagno di un autogrill? 

Be’, meglio non pensarci dai.

 

3) LA MUMMIA:

 

Come vedete, chi usa la tecnica della mummia e’ sempre molto rilassato.

In molti casi aiuta il deflusso leggendo un bel quotidiano o facendo enigmistica a schemi in bianco.

Come riesca a rimanere tranquillo mentre e’ seduto sulla Beverly Hills dei batteri non e’ dato saperlo.

Non metto in dubbio che non siano brave persone, ma se vi offrono la mano non stringetela.

Se non si dovesse capire dal filmato, la tecnica consiste nel mummificare con la carta igienica il bordo del water.

Purtroppo la usano le stesse persone che rivendicano la foresta amazzonica.. bastardi.

Finito i tre modi di evacuazione, termino il post indicando un altro aspetto molto importante e spesso sottovalutato e cioe’..

Ha una forte componente educativa ed e’ lì a ricordarti che prima o poi devi fare i conti con le tue azioni.

Il BIDET ISTANTANEO e’ quello schizzo d’acqua (e non solo), detto anche impropriamente rinculo, che ti colpisce il fondoschiena quando lasci cadere nella tazza il pranzo di qualche giorno prima.

(non succede ai Tedeschi che usano il water a vista ovvero col foro in avanti).

Con la sospensione e la rana,  e’ quasi una sicurezza.

Se non lo trovate rinfrescante e volete eliminarlo il consiglio e’ quello di mettere un pezzo di carta igienica al centro del bersaglio prima di usarlo…

In questo modo avrete anche effetti collaterali interessanti. 

Ad esempio annullerete il PLOCK! e nei bagni pubblici e’ una gran cosa visto che spesso sono aperti da tutti i lati (non vale per gli americanlatini che non possono assolutamente buttare carta nel cesso).

Un altro effetto e’ quello di eliminare la sgommata ma non credo che in questa circostanza ve ne freghi molto.

Se poi, oltre al PLOCK!, volete eliminare TUTTI i rumori e minimizzare la puzza tirate lo sciacquone DURANTE il caghisterio.

Ad es. gli arabi anche nel deserto mentre defecano battono due pietre per tutta l’esecuzione e adesso capite perche’ molto spesso hanno le unghie bleu.

UN’ULTIMA NOTA

Se non vi siete portati un pacchetto di fazzoletti di carta e’ probabile che vi troviate a combattere con ricevute fiscali o che improvvisiate un bidet nel lavandino.

Dio ci liberi da questa immagine.

Se invece doveste trovare inspiegabilmente un bel rotolo di carta igienica e avete intenzione di afferrarlo mettendo le dita all’interno, tanto vale che uscendo diate una leccata alla maniglia.

Il rotolino di cartone viene toccato da tutti DOPO aver fatto i propri bisogni e PRIMA di lavarsi le mani e qui Mr.Covid19 gioca in casa.

Detto rotolino ha analogie con altri tipi di buco.

Dovrete prenderlo dalla parte esterna senza stringerlo troppo e farlo scorrere mentre tirate la carta con l’altra mano.

Cosi’:

Di cose da dire ce ne sarebbero tante altre e mi scuso se ho illustrato qualche banalita’ ma se anche una sola di queste servira’ a qualcuno per uscire dal tunnel dei cessi pubblici il mio post avra’ avuto senso.

Un saluto di cuore a tutti. 

Adesso pero’ andate a cagare.

 

Viorica Zaiat alla memoria.

 

Un triste fatto di cronaca accaduto 5 gennaio 2022.

Viorica, sei lingue e una laurea. Addio alla senzatetto di Firenze che amava la vita.

Viorica Zaiat è morta per strada, a 45 anni in una stamberga di legno nel giardino dell’ospedale di Careggi a Firenze. Dopo la morte siamo andati alla ricerca del suo passato

 

Era una ragazza bellissima, aveva una laurea e parlava sei lingue.

Viorica e’ morta per strada, a 45 anni, in una stamberga di legno nel giardino dell’ospedale di Careggi a Firenze.

Dimenticata da tutti, nell’indifferenza generale. Al funerale a Trespiano c’erano cinque persone. Neppure un prete, neppure una preghiera. Un’altra senzatetto morta senza fare notizia. Morta alcolizzata, cirrosi epatica. Ma era una persona, con un cuore e una storia. Nessuno può riportarla in vita, ma la storia quella sì, possiamo e vogliamo raccontarla.

Era il 20 ottobre 2011 quando incontrammo Viorica. «Vengo dalla Moldavia e ho perso tutto, ho perso marito, casa, lavoro». 

Si mosse la Caritas.. coperte, vestiti, un tablet per ripartire. In quei giorni Viorica tornava alla vita. Cominciò a fare l’interprete per un giudice. Lavori saltuari, quel tanto che bastava per comprarsi da mangiare. Però continuava a bere. Nella sua baracca c’erano sempre cartoni di vino. Vino bianco, quello che non costa ma sfonda, quello che squarcia, lo stomaco.

Non voleva cambiare, i soldi che guadagnava li spendeva in alcol. Avrebbe potuto rifarsi una vita, affittare una casa, ritrovare l’amore, ma in fondo all’anima aveva le tenebre. In tanti le dissero di andare a curarsi. Ma lei niente, ostinata e contraria, muta nel suo sorriso che celava tormento. Poi la svolta: trova lavoro all”Esselunga, come categoria svantaggiata. Eccola in cassa: la stessa persona, ma diversa. Le unghie lunghe, colorate, i capelli fluttuanti, lucenti.Ce l’aveva fatta a vincere il destino.

Disse che era stato merito anche di quell’articolo se era riuscita a trovare lavoro. Finalmente la vita nuova, era felice, così diceva. Viveva in una casa di cura. Aveva comprato la macchina nuova, ma con quell’auto ha fatto un incidente, ne è uscita viva per miracolo. E’ stata in ospedale, poi ha smesso di lavorare. Al supermercato non la vedevano più, nessuno dei colleghi sapeva niente. Poi un giorno una telefonata: «Sono tornata a vivere nella baracca».

E’ bastato un incidente a far riaffiorare i fantasmi. Ma quali erano, i suoi fantasmi? Viorica tornò laggiù, nell’inferno putrescente della baracca, dimora degli ultimi. I capelli rasati a zero. Aveva ricominciato a bere, più di prima.

Alvaro, un anziano medico volontario si affeziono’ a lei, l’aiutava con le cure. E poi c’era il prete della chiesa San Giovanni Battista, ogni giorno pranzo e cena gratis. C’erano soltanto loro nella sua vita di strada. Anime rare. Anche loro insistevano: «Devi curarti, devi tornare in clinica». Viorica aveva un’assistente sociale, anche lei la implorava. Ma Viorica no, irriducibile. Nessuno poteva obbligarla. O forse invece sì. Lei voleva soltanto soldi, per continuare a bere. Un giorno suona il telefono, dall’altra parte della cornetta il medico: Viorica e’ morta.

La bara più economica comprata da quei pochi che ti conoscevano. All’obitorio Marius e Andrian, due senzatetto con cui condivideva notti alcoliche. Dopo il funerale, siamo andati a scoprire il su passato. Nella stamberga abbiamo ritrovato le foto del matrimonio, le custodiva gelosamente in un’agenda. E così siamo risaliti al nome del suo ex marito. Siamo andati a trovarlo Rimini, abita li, e’ italiano. Viorica ha vissuto con lui per quasi dieci anni.

E’ stato lui a raccontare che beveva da quando era adolescente. Quante scoperte, quanta vita dietro gli anfratti delle nostre strade. Il padre di Viorica e’ morto qundo lei era ancora una bambina, la madre pure, morta alcolizzata in una strada di campagna della Moldavia. Eccoli i fantasmi, ecco perché cominciò a bere: per dimenticare, per finire come sua madre, per raggiungere i suoi genitori.

Moldavia, il Paese più povero d’Europa. Nata a Singerei: ragazzini ubriachi nei parchi, fango e neve nelle strade, autobus comunisti coi motori che sbuffano, carretti trainati da cavalli, donne coi fazzoletti in testa, palazzi sovietici con le stufe. E poi orfani bianchi, cresciuti senza madri partite per fare le badanti, oppure risucchiate dalla miseria. Era una di loro. L’ha confermato anche Alina, la sua migliore amica, moldava. Ha detto che Viorica era cresciuta in un orfanotrofio: l’assenza di carezze, l’Istituto come casa .. Ecco uno scatto da ragazzina, stringeva un peluche piu’ grande di lei, lo abbracciava come fosse il mondo intero.


Non aveva stelle a cui aggrapparsi, era assetata d’affetto, la tenerezza come urgenza. Ecco una foto consumata in bianco e nero, c’è una donna con un foulard in testa e dietro una montagna: è sua madre. La notte, prima di addormentarsi, le dava un bacio.

Quando era adolescente, Viorica si è innamorata, è rimasta incinta. Era in affidamento alla zia, che la fece abortire con la forza. Cosi’ scappo’ dalla Moldavia ed e’ arrivata in Italia con un amico. Prima a Milano, poi Rimini. Poi il matrimonio, l’illusione della famiglia. Voleva un figlio, sarebbe stato il nipotino dei suoi genitori. Con questo figlio, forse, avrebbe rivisto i loro occhi. E invece no: i medici le dissero che non poteva avere figli. Quell’aborto in gioventù le era stato fatale. E allora l’alcol, ancora l’alcol a spaccare gli inganni. Suo marito la porto’ dallo psicologo, fini’ male, si arrabbio’ scappo’ da casa dal balcone, la trovarono ubriaca sul lungomare romagnolo mezza nuda.

Alcol, sempre alcol, tutte le sere, tutte le notti. Nel mezzo, parentesi di normalità, soltanto sprazzi d’ordine. Il resto, un baratro di sofferenza, sempre in fuga dalla vita. Perfino suo marito alla fine cede e la lascia. Allora ritorna in Moldavia dopo il divorzio, gestisce un negozietto, finisce tutto in malora. Poi ancora l’Italia, chissà come, ma torna qui, nelle nostre strade. Finisce a Firenze, a Careggi, per curarsi al Centro alcologico, poi la stamberga, e questi anni senza via d’uscita.

La speranza e gli abbagli, la ripartenza e la voragine. E la solitudine, il vuoto di senso, l’abbandono ricevuto come pietra sul collo. Ma teneva dentro, teneva tutto dentro. Raccontava tutto soltanto ai gatti. Soltanto loro sapevano ascoltarla. Nella sua baracca ce n’erano almeno dieci, ognuno con un nome, come figli. Alla Croce Rossa, quando le portarono coperte, disse di tornare il giorno dopo per portare cibo ai gatti. Nel suo profilo Facebook sono ancora tutti lì. La sua pagina è sempre lì, nessuno l’ha cancellata. Resterà così, a memoria imperitura.. Viorica Zaiat, questo il suo nome. C’è il suo sorriso dolce e amaro, la vita che ha rincorso, i suoi gatti di tutti i colori. Loro sapevano tutto di lei. Noi invece no, non abbiamo avuto tempo di ascoltarla.

Addio Viorica non era soltan una senzatetto. Era una donna, una vita, una storia. E non possiamo dimenticare. La vita l’ha sconfitta. O forse invece no, adesso magari è felice per davvero. Perché in fondo, una volta fu lei a dirlo: «Voglio tornare dai miei genitori, con loro vivrò ancora». E allora forse è giusto ricordarla così, sorridente e gentile, aggrappata ai ricordi di una madre flagellata dal destino, nata dove la povertà gronda dal cielo. E chissà, magari è un’illusione, ma sarebbe bello se quel giardino in mezzo a Careggi lo intitolassero a lei, che l’ha abitato piu di altri, piantando fiori e accarezzando i suoi gatti.

Solstizio a Torino.

 

 

 

 

Questa foto è stata fatta nel Salone delle Guardie Svizzere di Palazzo Reale, in attesa dell’equinozio d’autunno che cadrà il 23 settembre 2023 e si tratta

Dell’antica linea meridiana collocata in diagonale sul pavimento, lunga circa dodici metri, che fu commissionata dai Savoia.

Attraverso un foro praticato nella parte superiore della parete sud, accanto alla finestra centrale, un tempo i raggi del sole proiettavano la luce sulla linea “in meridie”, ossia al mezzogiorno locale.
L’immagine luminosa, visibile a terra, fa rientrare l’opera nella tipologia denominata “a camera oscura”, a differenza dalle meridiane verticali, funzionanti con l’ombra proiettata da uno gnomone.

Risultato di complessi calcoli matematici e astronomici, il raro strumento di Palazzo Reale può essere datato alla seconda metà del Seicento, ma fu distrutto due secoli dopo.

Negli anni è, invece, sopravvissuto il foro, seppure modificato nelle sue dimensioni, fino all’attuale riscoperta, al recente studio e alla sua parziale ricostruzione.
La riproduzione temporanea, collocata per la prima volta sul pavimento del Salone dal 22 al 24 settembre 2023, è il risultato dei calcoli scientifici e del rilievo laser scanner elaborati dall’architetto Fabio Garnero di Solaria Opere S.a.S. e da Mauro Luca De Bernardi, già docente del Politecnico di Torino, con la collaborazione di Marco Roggero dello stesso Istituto.

La linea è realizzata con una stampa su Dibond e può essere considerata un vero gioiello, completa di datario, mesi, giorni e segni zodiacali tratti da una tavola miniata contenuta in un Portolano cinquecentesco conservato in Biblioteca Reale.
A ogni solstizio ed equinozio si potrà assistere all’affascinante viaggio del sole all’interno della prima reggia italiana dei Savoia.

Aurelio Quaglino Scultore.

 Post a ricordo del nonno di mia nuora Anna…

Aurelio Quaglino (Torino, 1910 – 1998), mostrate precoci dori artistiche sin dalla tenera età, si forma all’Accademia Albertina di Torino, dove ha come insegnante Edoardo Rubino (1871-1954).

Quest’ultimo, intorno alla fine degli anni Venti, coinvolge il suo allievo nella realizzazione di numerosi monumenti in aerea torinese, ad esempio Il faro della Vittoria, sul Colle della Maddalena.

Dopo queste prime, importanti esperienze al fianco del maestro Rubino, Aurelio Quaglino si inoltra in una personalissima lavorazione del marmo, che presenta alcuni tratti specifici, come la dimensione quasi sempre monumentale, la componente emotiva e spirituale e una sensibile attenzione alla resa naturalistica, seppur attraverso una scelta sintetica e lineare.

La scultura in area piemontese e lombarda

Da questo punto di vista, lo scultore torinese potrebbe essere inserito tranquillamente nella tradizione plastica di fine ottocento, se non fosse per una trattazione veramente condensata e razionale delle superfici, che lo collegano direttamente agli sviluppi scultorei del ritorno all’ordine.

In effetti, sia nella lavorazione del marmo che del bronzo, il linguaggio di Aurelio Quaglino si basa sull’adozione di poche linee ascensionali che definiscono figure slanciate ed equilibrate, spesso richiamanti un primitivismo senza eccessi espressionisti.

Nel corso degli anni Trenta e Quaranta, l’artista partecipa alle Sindacali fasciste, ma soprattutto si dedica alla realizzazione di numerose sculture celebrative, in particolare nell’area del nord Italia. Inoltre, diversi sono i monumenti funerari che, nel Cimitero Monumentale di Torino recano la firma di Aurelio Quaglino.

Aviatori, atleti, figure esteticamente corrispondenti all’ideale fisico del regime fascista, ma anche teste di vittoria e ritratti di personaggi come il Re o Mussolini fanno parte della produzione di Aurelio Quaglino degli anni del regime, quelli più significativi della sua carriera.

In effetti, dopo la guerra, si esaurisce la carica creatrice dell’autore, che continua a dedicarsi alla scultura fino agli anni Novanta, ma mai ritrovando quel successo internazionale che lo aveva accompagnato negli anni Trenta e Quaranta, quando era riuscito ad esporre anche a Berlino, Monaco e Vienna. Muore a Torino nel 1997, ad ottantasette anni.

Aurelio Quaglino: la scultura celebrativa negli anni del regime

Tra le prime opere realizzate dal giovane Aurelio Quaglino, come collaboratore del suo maestro Edoardo Rubino, vi è il monumento Faro della Vittoria, nel parco della Rimembranza sul Colle della Maddalena.

 

 

La figura vittoriosa dal viso algido e ieratico ha ispirato sicuramente l’artista nell’elaborazione di una delle sue sculture più famose, la Vittoria armata, di cui espone lo Studio della testa alla Sindacale torinese del 1936, insieme alla Visitazione.

Attivo soprattutto in area piemontese ed in ambito fascista, Aurelio Quaglino aveva partecipato, nel 1932, alla I Mostra piemontese di Arte Goliardica, con il busto dello squadrista fascista Amos Maramotti, morto nel 1921.

Alla stessa mostra, ma nel 1933, presenta Il calciatore, che evidenzia l’interesse per l’esaltazione della perfezione fisica ed atletica, Lo squadrista, in terracotta rossa e un San Sebastiano, inteso in questo caso come protettore dei militi.

In particolare Lo squadrista presenta una lavorazione vibrante e nervosa, che trasmette il fremito dell’azione fascista e illegale e che mette in risalto la corporatura robusta e il viso assurdamente fiero. Il Ritratto del Re d’Italia e Imperatore d’Etiopia compare alla Sindacale torinese del 1937, mentre il Canottiere a quella del 1940.

Tra le opere funerarie del Cimitero Monumentale di Torino è da ricordare la Tomba Peccolo.

con un’aggraziata e sintetica figura femminile che ricalca l’immobile primitivismo della statuaria arcaica. 

 

Nel 1936, Aurelio Quaglino si occupa dell’esecuzione dell’Aviatore per un monumento pubblico sul lungolago di Desenzano del Garda.

Il volto dell’aviatore si spinge in avanti, lasciando dietro di sé una scia astratta e concreta allo stesso tempo, a sottolineare la velocità e il dinamismo del volo che spinge l’uomo al di là dei suoi limiti fisici.

 

 

Ecco altre opere di Aurelio Quaglino:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spectrum Sinclair.

 

 

 

Il mio percorso informatico è iniziato grazie all’OM di MI che tramite mio padre allora dirigente della fonderia mi fece fare dopo aver scoperto che anziché studiare preferivo passare le giornate nel boschetto della Madonnina e a tutti gli effetti le ragazzine erano più allettanti delle materie scolastiche e la scuola di allora davvero non era interessante e quindi anche grazie a chi non si faceva i cazzi suoi, avvisò mia madre delle mie attività pratico-conoscitive sessuali e lei a sua volta avvisò mio padre che mi fece cambiare scuola e per tenermi sotto controllo passai alla scuola aziendale OM che si tenne dall’Antonio Pacinetti (tecnica), al Feltrinelli (perito elettrotecnico) ed infine al Pareto (laurea d’off.) in Suisse zona Mies-Friburgo.. in tutte queste scuole gli Allievi OM-Mi eravano più agevolati rispetto all’allievo normale ma anche i più tartassati per le graduatorie ed erano pure pagati (poco) in base ai risultati ottenuti e gli esami venivano eseguiti periodicamente ogni sei mesi, in cui gli ultimi due allievi in graduatoria generale venivano espulsi automaticamente dai corsi.. io nel bene e nel male ho salvato il culo e sono riuscito a completare gli studi, che mi son serviti per la carriera lavorativa.. unico vincolo era quello che se lasciavo l’OM il titolo di studio rimaneva di proprietà della ditta e si doveva rifondere alla stessa il costo dello studio e la cifra era enorme ed era alla pari di una donazione di un rene.. ciò non toglie che alcuni allievi trovarono convenienza andarsene e farsi assumere dalle Ditte concorrenti per ottenere subito uno stipendio alto ed inoltre le ditte si assumevano l’onere del rimborso studi riconoscendo i relativi titoli di studio conseguiti.. io non potei farlo in quanto mio padre aveva una posizione che mi impediva questi spostamenti ed eventualmente avrei parificato il titolo dando 12 esami al Poli..nota redattiva è che dal 1992 le lauree ottenute all’estero sono state parificate in Italia per scambi culturali senza mollare un ghello e senza frequenza alcuna.

Gli allievi OM scartati durante i corsi hanno fatto comunque strada occupando posizioni riguardevoli di Amministratori Delegati di società tipo Ibm e Marelli o altre che poi sono state inglobate in FIAT (tra cui anche l’OM) e a proposito di Ibm in qualità di programmatore avevo a disposizione un computer il cui ingombro era ubicato in un salone di 20 metri per 12 raffreddato sia in ingresso che in uscita e la potenza di questo computer era inferiori al più piccolo degli smartphone che ad oggi stanno in tasca ai bimbi della  3C. 

Cio’ non toglie che la mia tesi a Friburgo. redatta sul sistema di come crackare le password delle reti wireless in ambito metropolitano (220 pagine copiate su Sata Disc da 5”1/4 9R 91517 della Xerox) sia valida ancora oggi. 

Devo cmq ringraziare l’OM che grazie al babbo, in prestito d’uso allora mi diede un portatile dal costo pari a 30 mensilità di un impiegato della max categoria. Detto computer lo conservo ancora in cantina e funge come allora. 

Però adesso salto qualche anno per arrivare all’acquisto di computer casalinghi e dal 1982 ho cominciato ad acquistare, cambiandoli di continuo e in cantina ne ho contati più di 40 gli altri 8 sono in casa, ma torniamo al discorso primi computer personali e si parla del 1982 quando come Coppi e Bartali si cominciò ad usare i:

 

Commodore 64 vs e ZX Spectrum.

Quello è stato il primo momento dove per la prima volta è stato possibile fare da casa quello che nessuno aveva mai fatto prima, ed era appunto il 1982, l’anno in cui vennero commercializzati due tra i primissimi home computer (o micro computer, come venivano chiamati): il Commodore 64 e lo ZX Spectrum.

In buona sostanza: due “scatole” di plastica che racchiudevano la scheda logica del computer e la tastiera e permettevano, una volta collegate al televisore di casa e a un registratore che fungeva da memoria di massa, di avere un set completo per tutto: programmare, giocare, studiare, persino collegarsi alle prime BBS (le la rete di bacheche online, antenate di Internet) previo acquisto di un costosissimo modulatore-demodulatore da accoppiare alla cornetta del telefono fisso di casa.

Certo, prima dell’americana Commodore (in realtà nata in Canada) con il suo C64 e della britannica Sinclair Research con il suo ZX Spectrum, c’è stato molto altro.

Un computer per tutti.. l’Apple II che aveva una mia amica di Casalcoso costosissimo ed estremamente potente, creato nel 1977 da Steve Wozniak e uscito definitivamente di produzione solo nel 1993 nella versione IIe.

E poi c’erano gli home computer (Acorn, Atari e BBC, per esempio), le prime console (ancora Atari, l’Intellivision di Mattel) e i primi P.C. compatibili, IBM nel 1981.

Ma la coppia dei due computer che ha cambiato la storia dell’informatica Sono stati il Commodore 64 e ZX Spectrum

E nessuno potrà mai rubare loro questo primato.

Nati entrambi nel 1982, basati su una architettura di processore a 8 bit e con 64 Kilobyte di memoria di serie (per il Commodore) o 16-48 per lo Spectrum (a seconda delle versioni), visti con gli occhi di oggi sono due creature preistoriche, due computer del paleolitico.

Eppure, per tutti gli anni Ottanta sono stato l’oggetto del desiderio e lo strumento più amato da due generazioni.

E ancora oggi, grazie all’amore degli appassionati e a un certo mercato sia per l’usato che per nuove produzioni software e hardware dedicate, sono ancora vivi, anche se in una loro speciale nicchia.

Impossibile descrivere tutti i dettagli tecnici e le caratteristiche che rendevano questi home computer unici..

Certo, a vederli con gli occhi di oggi, non hanno più cittadinanza di quanto non avrebbe un brontosauro in centro a Milano, visto che finalmente si possono fare quelle cose che sarebbero semplicemente fantascientifiche agli occhi di qualsiasi adolescente degli anni Ottanta… inforcare un Oculus o (tra poco) un Vision Pro, giocare in multiplayer con giochi immersivi in streaming basati sulla magia del motore di Unreal, connettersi a Internet, dialogare con ChatGPT

O, più banalmente, avere in tasca uno smartphone.

Ad ogni modo nello specifico:

il Commodore 64

 

La Commodore era nata, proprio come Ibm, per riparare, poi importare e infine produrre macchine per ufficio

Solo che era stata creata da un emigrato polacco di genio sopravvissuto ad Auschwitz. Jack Tramiel, che aveva fatto di tutto compreso il tassista, mentre cercava di far partire la sua startup, chiamata Commodore come il grado della Marina “per sembrare più autorevole“. 

Prima di arrivare a creare il C64 aveva gia’ lanciato vari prodotti, dal PET al Vic 20.

Il “suo” Commodore 64 aveva moltissime innovazioni, a partire dal processore (il 6510/8500 della Mos Technology che “andava” all’incirca a 1 MHz) e dai vari chip ausiliari compreso il generatore di onde sonore (SID) e quello per la grafica (VIC-II), ma anche molte ingenuita’.

Tramiel, padre-padrone che si era circondato di collaboratori validissimi (su tutti, Chuck Paddle) aveva tra i primi capito l’importanza dell’integrazione verticale e come la Apple di oggi che produce i suoi processori, aveva internalizzato progetto e produzione di tutti i chip-chiave del C64.

Della coppia Bartali-Coppi dell’home computer, il C64 è stato quello di maggior successo.

A oggi è il singolo modello di computer più venduto nella storia e a un certo punto l’azienda stava vendendo più computer di tutto il resto del settore combinato.

Rimasto in produzione sino al 1994, è arrivato a costare meno di tutti, ad avere più periferiche, più giochi, più software… su Internet Archive, che contiene software e manuali anche in italiano si contano almeno quindici pacchetti software di videoscrittura diverse.

È stato anche l’unico dei due ad avere un piede in casa e l’altro in ufficio, dove ha svolto un transitorio ruolo di primo “computer aziendale” per professionisti, piccole imprese o uffici locali di grandi aziende. 

Il tutto con una dotazione di memoria di 64 Kb, di cui liberi solo 32 circa, perché il resto occupato dall’interprete Basic (scritto dalla Microsoft, uno degli ultimi progetti software seguiti direttamente da Bill Gates).

Lo ZX Spectrum.

Il mio amore che reca le tracce di digitazione..

 

Invece, sull’altro fronte, c’è l’opera struggente di un solitario genio, per parafrasare il titolo del libro di Dave Eggers. 

Il genio è quello di Clive Sinclair, singolare talento quasi ottocentesco di inventore britannico, imprenditore seriale, uomo da rivoluzione industriale, capace di alternare le idee più pazzesche a prodotti con i fiocchi.

Questo nonostante alcune scelte scomode, di cui gli appassionati si fecero pregio. 

Come la tastiera a membrana con tasti non standard, il surriscaldamento di molti modelli, la scarissima memoria per la versione base (16Kb era troppo pochi anche all’epoca), in realtà lo Spectrum è stato il primo veramente espandibile e flessibile e con moltissimo software disponibile.

C’era il processore, lo Zilog Z80A, lo ZX Microdrive, un ingegnoso sistema di memoria magnetica esterna a cartucce, e poi unità floppy, stampanti ad aghi, schede Midi e per la sintesi vocale.

La biblioteca del software dello ZX Spectrum non ha niente da invidiare a quella del Commodore 64, anche se tra le due macchine quella che ha avuto una vita più lunga è stata la prima.

Tuttavia, lo Spectrum, che ha avuto una base di utenti enorme soprattutto nel Regno Unito in particolare (la Germania ha amato di più il Commodore 64 e la Francia (tanto per cambiare) si è trincerata invece dietro i Thomson TO7 di Vantiva), dando vita a generazioni di programmatori one-man-band, capaci di fare tutto con pochissima memoria: grafica, animazione, motore del gioco, persino la promozione.

I famosibedroom programmersnon nacquero però spontaneamente per caso: sia Sinclair che Tramiel si erano volutamente concentrati su hardware economico e manualistica tecnica per tutti, spingendo con un marketing intelligente non solo al consumo ma anche alla produzione di software da parte degli utenti.

Da questo punto soprattutto lo ZX Spectrum, che fu il primo computer pensato veramente per la casa e a bassissimo costo, era una specie di “social media hardware”: viveva dei contenuti generati dagli utenti e da poche aziende terze, le prime software house.

Quel che resta della rivoluzione

Oggi della grande contrapposizione tra amanti del C64 e dello ZX Spectrum è rimasta solo la componente di nostalgia da reduci di un periodo storico lontano.

Veterani ormai pensionati che si ritrovano accomunati dalla stessa passione e che si sorridono quando scoprono che l’altro aveva il computer concorrente.

Entrambe le tribù all’epoca erano animate dalla scoperta di una cosa completamente nuova: il computer.

Prima dell’informatica di rete, che ha definitivamente popolarizzato l’uso del PC con Internet a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, e poi prima della rivoluzione post-PC con gli smartphone a partire dalla fine degli anni Duemila, le ragazze e i ragazzi degli anni Ottanta sono rimasti incantati dalle prime macchine che potevano elaborare automaticamente le informazioni.

Dalle prime macchine che potevano eseguire le loro istruzioni o stupirli con giochi e software creato da altre persone come loro.

Negli anni Ottanta nacque così un fiorente mercato di riviste e libri dedicati ai computer (li conservo tutti compreso anche il Paradox), con cassette per la distribuzione del software, con case editrici storiche anche in italia come il Gruppo Editoriale Jackson.

Ma nacque anche un mercato parallelo con cassette pirata (di cui facevo parte) e fotocopie di libri e di listati di software (sempre come sopra).

Un mondo unico e irripetibile del quale si trovano per fortuna ancora tracce leggibili in rete e in pochi libri di appassionati dell’epoca, oltre a qualche progetto online come quello per la replica moderna del C64 (in versione micro e a grandezza naturale o addirittura con Android) e dello ZX Spectrum e agli emulatori software: Vice per C64 e quelli per ZX Spectrum.

Si continua a scrivere software, giochi qualche utility e soprattutto demo, mentre l’esperienza “originale” dei primi computer a 8 bit ancora non si è persa.

E se le ultime macchine funzionanti stanno lentamente rompendosi per usura dei componenti, c’è ancora chi li ripara.

Insomma, la grande storia d’amore per i due computer che hanno cambiato la storia dell’informatica e la vita di milioni di persone non è ancora finita (almeno per me) solo che nel 2020 per esigenza di spazio ho spostato nella casa marina due Spectrum zx relativi accessori, libri di programmazione, musicassette di giochi e li ho regalati ad un diciottenne patito dei vintage e della programmazione fatta in basic battendo sui tasti a 6 funzioni cad.

Enrico Legno.





 


Piu’ che artigiano Enrico e’ un artista del legno.


Ha il potere di collegare il cervello alla manualita’ e di parlare una lingua che parla lui soltanto e che gli altri capiscono.


Non per nulla la sua mail e’ [email protected],.


Voi camminate per strada e vedete dei rami, dei sassi, degli oggetti? Lui vede gia’ un quadro.


Voi guardate un film? Lui lo traduce in quadro.


Voi raccontate una fiaba al nipotino leggendo un libro, lui la racconta col quadro.


Prendo a caso dei commenti sotto un jpg postato in facebook:


 


ha recensito Enricolegno5 stella



Semplicemente stupendi! Si vede proprio la passione di una persona che ci mette impegno e dedizione in ciò che realizza.. passeggiando per la Notte Bianca di Castellanza ho visto questa bancarella e sono stata rapita dalla bellezza dei sui quadri… il signor Enrico una persona molto disponibile e cortese consiglio vivamente a chi non lo conosce di fare una visita sulla sua pagina di Facebook o Instagram..




i quadri sono meravigliosi e la sua fantasia davvero da favola!?
Un vero artista!


Mizuki Rocco Koi ha recensito Enricolegno5 stella



Non fatevi prendere dalla foga di trovare per forza qualcosa in tempi celeri… Quando meno ve lo aspettate, arriva l’ispirazione, l’illuminazione, la profusione di sensi… Ho dovuto aspettare 7 anni prima di arredare con gusto quella parete bianca e vuota… ma alla fine e` arrivato un sapore “motown”… poi altri 2 anni per conoscere per caso l’artista/artigiano che lo ha creato… e scopro che ha molti altri sapori/gusti/immagini/fantasie da assaggiare/sentire/vedere/raccontare/proporre… Bravo Enrico


Nadia Margherita ha recensito Enricolegno5 stella


Finalmente qualcosa di originale, unico!!! Complimenti Sig. Enrico, verrò presto a trovarla, per portarmi a casa un tocco della sua magia! Nadia.
E che dire oltre?

Lo lascio dire da sua sorella prendendo spunto da un post che lei ha inserito su Quora:



Ci sono personaggi e ingredienti che mi stanno a cuore dentro la storia che sto per raccontare.

I personaggi sono mio fratello Enrico e la mia amica Marisa .

Gli ingredienti sono la passione, la determinazione e il coraggio, qualità che a entrambi non mancano.

Enrico è il mio fratello maggiore e non ricordo giorno della mia vita in cui non ci sia stato per me quando ne ho avuto bisogno. Ha un grande cuore, ma soprattutto una grande fantasia, e quando ti poni come obiettivo di fonderli uno con l’altro, non può che venirne fuori qualcosa di straordinario.

Quando ha permesso alla sua passione di uscire allo scoperto, si è finalmente preso una bella rivincita sulla vita che voleva a tutti i costi presentargli un piatto che a lui non andava proprio, perché sapeva di poter aspirare a qualcosa di molto più invitante.

Trasformare la realtà in fantasia

è il suo motto.

E lui è davvero bravo nel farlo, trasformando abilmente un semplice pezzo di legno in un capolavoro.

Quando mi capita di vedere le persone incantate davanti alle sue opere, capisco quanto sia giustamente fiero di ciò che ha realizzato, e un po’ lo sono anch’io. Per questo se devo fare un regalo a una persona speciale, mi rivolgo a lui.

La mia amica Marisa https://www.faCicebook.com/marisa.saccon/vive ai piedi dei Colli Euganei. Lei è un vulcano in eruzione.

La conosco da diversi anni e ho perso il conto delle volte in cui si è reinventata. La prossima settimana, festeggerà il suo compleanno.

Da qualche tempo la vita l’ha messa in trincea a combattere dure battaglie e mi piace pensare che per lei i compleanni siano diventati eventi che meritano di essere degnamente celebrati.

Per questo ho chiesto consiglio a Enrico.legno.

 “Atterrerò in cima alle mie cascate Paradiso” mi ha scritto quando l’ha ricevuto.

 “Appenderò la mia casa con i palloncini sulla parete, sopra il mio letto, e la guarderò ogni volta che vorrò sollevarmi da terra e prendere il volo”.

Volevo davvero entrare nel suo cuore e farle sentire la mia amicizia e il mio affetto, e con questo regalo credo di esserci riuscita.

Se leggendo questo post vi è venuta voglia di fare un regalo a una persona speciale, vi consiglio di non esitare oltre. Alla fine, rendere felice qualcuno, rimane sempre la gioia più grande. Credo anzi che siamo stati creati per questo.

Se volete vedere altre creazioni di Enrico.legno curiosate qui:

https://www.facebook.com/enricolegno56

 













































































































 


e non fa solo quadri tridimensionali,vedi queste biciclette scala 1:1

Sixteens Tons.

Alcuni dicono che l’uomo è fatto di fango
Some people say a man is made outta mud

Un povero è fatto di muscoli e sangue
A poor man’s made outta muscle and blood

Muscoli, sangue, pelle e ossa
Muscle and blood and skin and bones

Una mente debole e una schiena forte
A mind that’s a-weak and a back that’s strong

Carichi 16 tonnellate, cosa ottieni?
You load 16 tons, what do you get?

Un altro giorno più vecchio e più indebitato
Another day older and deeper in debt

San Pietro, non chiamarmi perché non posso andare
St. Peter, don’t you call me ‘cause I can’t go

Devo la mia anima allo spaccio aziendale
I owe my soul to the company store

Sono nato una mattina quando il sole non splendeva
I was born one mornin’ when the sun didn’t shine

Ho preso la mia pala e sono andato alla miniera
I picked up my shovel and I walked to the mine

Ho caricato 16 tonnellate di carbone numero nove
I loaded 16 tons of number nine coal

E il capo di paglia disse: “Bene, benedici la mia anima”
And the straw boss said, “Well, a-bless my soul”

Carichi 16 tonnellate, cosa ottieni?
You load 16 tons, what do you get?

Un altro giorno più vecchio e più indebitato
Another day older and deeper in debt

San Pietro, non chiamarmi perché non posso andare
St. Peter, don’t you call me ‘cause I can’t go

Devo la mia anima allo spaccio aziendale
I owe my soul to the company store

Sono nato una mattina, pioveva a dirotto
I was born one mornin’, it was drizzlin’ rain

Lotta e guai sono il mio secondo nome
Fightin’ and trouble are my middle name

Sono stato cresciuto nel canneto da una vecchia mamma leone
I was raised in the canebrake by an ol’ mama lion

Nessuna donna tonica può costringermi a superare il limite
Can’t no high toned woman make me walk the line

Carichi 16 tonnellate, cosa ottieni?
You load 16 tons, what do you get?

Un altro giorno più vecchio e più indebitato
Another day older and deeper in debt

San Pietro, non chiamarmi perché non posso andare
St. Peter, don’t you call me ‘cause I can’t go

Devo la mia anima allo spaccio aziendale
I owe my soul to the company store

Se mi vedi arrivare, è meglio che ti fai da parte
If you see me comin’, better step aside

Molti uomini non l’hanno fatto, molti uomini sono morti
A lotta men didn’t, a lotta men died

Un pugno di ferro, l’altro d’acciaio
One fist of iron, the other of steel

Se quello giusto non ti capisce
If the right one don’t get you

Allora lo farà quello di sinistra
Then the left one will

Carichi 16 tonnellate, cosa ottieni?
You load 16 tons, what do you get?

Un altro giorno più vecchio e più indebitato
Another day older and deeper in debt

San Pietro, non chiamarmi perché non posso andare
St. Peter, don’t you call me ‘cause I can’t go

Devo la mia anima allo spaccio aziendale
I owe my soul to the company store

NOI A SCUOLA SI CANTAVA COSI’:

Quando Pippo se lo mena in un campo di gran

When Goofy takes Pippo to a wheat field

si leva i pantaloni con il bigolo in man

he takes off his trousers with the dick in his hand

e per godere un poco di piùuuu

and to enjoy it a little mooore

si mette un dito nel buco del cuuulll.

he puts a finger in his asshoooole.

Saturimetro.

Saturimetro Da Dito Ossimetro Per Misurare Ossigeno Pulsossimetro Portatile

Li trovate in rete con prezzi che variano da 2€ (siti cinesi) a 25€ (sempre fatti in Cina ma commercializzati in Europa)

 

 


 

In che modo i Saturimetri riescono a misurare la percentuale dell’ossigeno nel sangue?

Gli apparecchietti emettono un raggio infrarosso, che attraversa il dito, come quando metti il dito su una torcia, solo che l’emoglobina legata al l’ossigeno assorbe la luce in alcune frequenze, diverse da quelle assorbite dall’emoglobina “scarica”. Il sensore del saturimetro percepisce il raggio ricevuto, e in base alla differenza con quello emesso, il software calcola la percentuale di emoglobina legata all’ossigeno.

Non sei ancora convinto?

Well allora cerco di spiegarla in altro modo questa ossigenazione del sangue che indica se i tuoi polmoni riescono ad assumerne in quantità sufficiente dall’aria che respiri.

Il principio di funzionamento su cui si basa il saturimetro è quello della spettrofotometria.

La sonda a forma di pinza che posizionerai sul dito, presenta due diodi fotoemittenti su un braccio della pinza ed un rilevatore sul braccio opposto.

I due diodi emettono fasci di luce a precise lunghezze d’onda che ricadono nell’intervallo della luce rossa e infrarossa (rispettivamente, 660 nm e 940 nm).

Ora, hai posizionato la pinza sul dito e quindi i fasci luminosi emessi dalle due sorgenti attraverseranno tutti i tessuti dello stesso, fino a giungere al rilevatore posizionato sull’altro braccio della stessa sonda, all’estremità opposta del dito.

Durante il “tragitto” effettuato dalle radiazioni luminose , queste vengono assorbite dall’emoglobina:

  • L’emoglobina legata all’ossigeno (ossia, l’ossiemoglobina – HbO2) assorbe soprattutto nella luce infrarossa;

  • L’emoglobina non legata (Hb), invece, assorbe soprattutto nella luce rossa.

Sfruttando questa differenza di assorbimento fra l’emoglobina legata all’ossigeno e quella non legata, misurando e analizzando la differenza fra la quantità di radiazione luminosa emessa dai diodi e quella finale rilevata dal rilevatore, l’unità di calcolo è in grado di elaborare e infine fornire il valore di saturazione di ossigeno che verrà visualizzato sul display dell’apparecchietto.