Spazio di Wood.

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Il post di oggi e’ dedicato alla persona anglafona in oggetto…

Mentre mi sistemavo sulla sedia del barbiere e ancora una volta cercavo di calmare la paura atavica causata da un uomo con un oggetto affilato nelle mani (non parlo di Willis) e opinioni politiche discutibili, mi preparavo mentalmente. Ero stato cliente di questo barbiere fin dalla comparsa dei miei primi capelli, ma non ero mai stato in grado di rispondere a tono ai suoi commenti taglienti che, proprio come le sue opinioni politiche, non erano diventati meno affilati col passare del tempo. Sapevo che quella volta sarebbe stato particolarmente difficile. Stavo facendo visita alla mia famiglia in Inghilterra dopo essermi trasferito dalla Spagna alla Germania. Ai suoi occhi era come se avessi scambiato un paradiso fatto di sole e di sbevazzate senza fine con la tetraggine teutonica, senza contare l’infame destino di essere circondato dai nostri nemici di vecchia data mentre assistevo alla loro inevitabile, efficiente e schiacciante vittoria sulla nazionale inglese durante i mondiali di calcio.

Allora giovanotto, cosa combini ultimamente?

Insegnare è una professione rispettabile, pensavo. Era un buon modo per cominciare: ero un insegnante di lingue, una persona che si occupa di diffondere il sapere, un intellettuale insomma. Pessima partenza. Per quale cavolo di ragione volevo vivere in Germania? Cosa c’è di sbagliato nell’Inghilterra? Probabilmente era per colpa della mia mancanza di umorismo, insinuò, o del mio amore per il vino di pessima qualità o per i würstel schifosi. No, no, risposi offeso, senza un sorriso, mentre mi spruzzava la faccia con una pioggerellina di roba strana uscita dal vaporizzatore. Volevo imparare la lingua, decifrare il codice, raggruppare parole per formare nomi composti infiniti, e parlare mettendo il verbo alla fine delle frasi così da dimostrare a me stesso che potevo farlo e, naturalmente, perché una certa particolare coniugazione lo richiedeva. Il tedesco è figo, dissi.

Il significato di “figo” è cambiato, se adesso essere goffo è figo.

Non usò la parola “goffo”. Disse che il tedesco sembrava la lotta tra una macchina da scrivere e una lavastoviglie. Ammisi che certi accostamenti senza fine di consonanti potevano suonare come un tranello alle orecchie di un anglofono, ma non era il massacro al quale lui alludeva. Era un gioco. Un gioco di costruzioni senza fine fatto di blocchi e di assonanze onomatopeiche che aspettano solo di essere accostate e mischiate.

Ah, vabbè, se lo dici tu…

Eccome se lo dico! Durante i miei primi mesi mi ero imbattuto in ogni sorta di parole meravigliose che incapsulavano idee che non mi erano mai venute e concetti mai considerati, senza parlare di tutte quelle parole che semplicemente suonavano splendide. Tollpatsching, per esempio, dissi sottolineando il suono -atsch più che potevo. “E cosa vuol dire?”, mi chiese. E fu così che lo invitai a fare un viaggio con me in quelle che erano, almeno in quel momento, le mie parole preferite in tedesco.

1. tollpatschig (agg.) – goffo.

Patsch significa qualcosa come lo “splash!” dei fumetti, il suono di un liquido viscoso che colpisce una superficie dura. Toll invece vuol dire “grande” o anche “fantastico”: per esempio, potrebbe essere il responso sarcastico al fortunatissimo Patsch che un piccione ti lascia cadere sulla spalla mentre attraversi Trafalgar Square. E quindi con la mia limitatissima conoscenza dell’etimologia, tutta a sentimento, io immaginavo tollpatschig come un “fantastico splash” che, alla fin fine, è esattamente l’essenza di una persona goffa. Sebbene i linguisti arricceranno il naso e scapperanno inorriditi, da quando ho fatto questo piccolo calcolo lessicale questa parola mi si è fissata in testa e mi è rimasta nel cuore.

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2. das Kopfkino (nome) – il film nella testa.

Immagino che tu abbia fatto un qualche tipo di apprendistato per diventare barbiere, e che tu abbia sostenuto un colloquio per avere quel posto. Immagino che tu, giovane mascalzone in procinto di muovere i primi passi nel mondo del lavoro, ti sia sentito piuttosto nervoso. Posso anche immaginare che nella tua mente ci fossero un paio di immagini di cose che potevano andare storte durante il colloquio, e che quelle immagini scalfissero la tua naturale temerarietà. Questo è un esempio di Kopfkino: un insieme di pitture animate che predicono con assoluta chiarezza, e spesso senza fondamento, i risultati più sfortunati di una situazione o di un evento importante.
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3. die Naschkatze (nome) – il gatto goloso (di dolci).

Ricordo che quando ero piccolo mi davi sempre dei dolcetti dopo che mi avevi tagliato i capelli. Ti ricordi? Dopo averli mangiati scendevo goffamente dalla sedia da barbiere, atterravo con un Patsch sul pavimento di laminato e fissavo con desiderio il restante assortimento di dolcezze che avevi sullo scaffale. Questo succedeva perché da giovane ero un vorace Naschkatze, avendo ereditato la mia passione per i dolci da una lunga dinastia di golosi venuti prima di me.
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4. der Ohrwurm (nome) – il verme nell’orecchio.

Questa parola è così buona e utile che è riuscita a fasi adottare pari pari nell’inglese. Si tratta del motivetto orecchiabile che non riesci a toglierti dalla testa, il verme nell’orecchio appunto. La prossima volta che la conversazione langue e tu ti ritrovi a canticchiare quella canzone che magari nemmeno ti piace però non riesci a scacciarla via, puoi dare la colpa all’Ohrwurm.

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5. die Schnapsidee (nome) – l’idea-grappino con genziana.

Ad un certo punto della tua vita hai raccolto il coraggio e hai aperto il tuo negozio da barbiere. Probabilmente avevi già un paio di clienti fedeli, ma non eri ancora sicuro di poter raggiungere il successo. Forse l’origine di tutto è stata una Schnapsidee, cioè un’idea eccentrica, un po’ pazza e un po’ geniale, che ti ha preso tutto d’un colpo, magari alimentata – o seguita – da un paio di bicchierini di grappa o altre bevande ad alta gradazione alcolica.

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6. dickköpfig (agg.) – con la testa dura (Willis escluso).

La ricetta per il successo, ossia das Erfolgsrezept, potrebbe includere una Schnapsidee e ein bisschen Dickköpfigkeit, che potremmo generosamente tradurre con ostinazione, anche se sarebbe più accurato chiamarla testa dura. Immagino che tu abbia dovuto essere un po’ dickköpfig per riuscire a trasformare il tuo negozio in nella Erfolgsgeschichte, storia di successo, che è oggi.

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7. die Ahnungslosigkeit (nome) – il non avere la minima idea.

Nessun set di parole tedesche preferite sarebbe completo senza un’avventura verbale multisillaba. La sorella inglese di questa parola è pure lei fatta a blocchi: ha un centro, ossia idea, clue in inglese, Ahnung in tedesco, e la sua assenza è espressa dalla particella -less, o -los, e infine viene trasformata in un sostantivo con -ness o -keit. Niente di speciale insomma. Quello che fanno i tedeschi lo sanno fare anche gli inglesi, giusto? Forse, ma mentre la pronuncia inglese ha trasformato la parola in un mazzetto di consonanti facile da ingoiare (cluelessness), la sua controparte tedesca rimane una sfida per la lingua e per le corde vocali, ed è semplicemente una delizia da pronunciare. Forza, provaci anche tu! Ahnungslosigkeit.

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“Ar-nens-lors-ick-kite”, disse.
“Sì”, risposi io, momentaneamente confuso dalla peculiarità del tedesco pronunciato con un pesante accento del Somerset, “quasi la stessa cosa”.
“Eh già, s’impara qualcosa tutti i giorni. Mi devi otto sterline inglesi, giovanotto. E in ricordo dei vecchi tempi puoi prenderti uno di quei dolcetti, Naschkatze”.

Nds..dedicato al mio caro amico Tuccio ormai teutonico e dimentico dell’origine isolana e del compagno castigatore in quel di Casalcoso.

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