Viorica Zaiat alla memoria.

 

Un triste fatto di cronaca accaduto 5 gennaio 2022.

Viorica, sei lingue e una laurea. Addio alla senzatetto di Firenze che amava la vita.

Viorica Zaiat è morta per strada, a 45 anni in una stamberga di legno nel giardino dell’ospedale di Careggi a Firenze. Dopo la morte siamo andati alla ricerca del suo passato

 

Era una ragazza bellissima, aveva una laurea e parlava sei lingue.

Viorica e’ morta per strada, a 45 anni, in una stamberga di legno nel giardino dell’ospedale di Careggi a Firenze.

Dimenticata da tutti, nell’indifferenza generale. Al funerale a Trespiano c’erano cinque persone. Neppure un prete, neppure una preghiera. Un’altra senzatetto morta senza fare notizia. Morta alcolizzata, cirrosi epatica. Ma era una persona, con un cuore e una storia. Nessuno può riportarla in vita, ma la storia quella sì, possiamo e vogliamo raccontarla.

Era il 20 ottobre 2011 quando incontrammo Viorica. «Vengo dalla Moldavia e ho perso tutto, ho perso marito, casa, lavoro». 

Si mosse la Caritas.. coperte, vestiti, un tablet per ripartire. In quei giorni Viorica tornava alla vita. Cominciò a fare l’interprete per un giudice. Lavori saltuari, quel tanto che bastava per comprarsi da mangiare. Però continuava a bere. Nella sua baracca c’erano sempre cartoni di vino. Vino bianco, quello che non costa ma sfonda, quello che squarcia, lo stomaco.

Non voleva cambiare, i soldi che guadagnava li spendeva in alcol. Avrebbe potuto rifarsi una vita, affittare una casa, ritrovare l’amore, ma in fondo all’anima aveva le tenebre. In tanti le dissero di andare a curarsi. Ma lei niente, ostinata e contraria, muta nel suo sorriso che celava tormento. Poi la svolta: trova lavoro all”Esselunga, come categoria svantaggiata. Eccola in cassa: la stessa persona, ma diversa. Le unghie lunghe, colorate, i capelli fluttuanti, lucenti.Ce l’aveva fatta a vincere il destino.

Disse che era stato merito anche di quell’articolo se era riuscita a trovare lavoro. Finalmente la vita nuova, era felice, così diceva. Viveva in una casa di cura. Aveva comprato la macchina nuova, ma con quell’auto ha fatto un incidente, ne è uscita viva per miracolo. E’ stata in ospedale, poi ha smesso di lavorare. Al supermercato non la vedevano più, nessuno dei colleghi sapeva niente. Poi un giorno una telefonata: «Sono tornata a vivere nella baracca».

E’ bastato un incidente a far riaffiorare i fantasmi. Ma quali erano, i suoi fantasmi? Viorica tornò laggiù, nell’inferno putrescente della baracca, dimora degli ultimi. I capelli rasati a zero. Aveva ricominciato a bere, più di prima.

Alvaro, un anziano medico volontario si affeziono’ a lei, l’aiutava con le cure. E poi c’era il prete della chiesa San Giovanni Battista, ogni giorno pranzo e cena gratis. C’erano soltanto loro nella sua vita di strada. Anime rare. Anche loro insistevano: «Devi curarti, devi tornare in clinica». Viorica aveva un’assistente sociale, anche lei la implorava. Ma Viorica no, irriducibile. Nessuno poteva obbligarla. O forse invece sì. Lei voleva soltanto soldi, per continuare a bere. Un giorno suona il telefono, dall’altra parte della cornetta il medico: Viorica e’ morta.

La bara più economica comprata da quei pochi che ti conoscevano. All’obitorio Marius e Andrian, due senzatetto con cui condivideva notti alcoliche. Dopo il funerale, siamo andati a scoprire il su passato. Nella stamberga abbiamo ritrovato le foto del matrimonio, le custodiva gelosamente in un’agenda. E così siamo risaliti al nome del suo ex marito. Siamo andati a trovarlo Rimini, abita li, e’ italiano. Viorica ha vissuto con lui per quasi dieci anni.

E’ stato lui a raccontare che beveva da quando era adolescente. Quante scoperte, quanta vita dietro gli anfratti delle nostre strade. Il padre di Viorica e’ morto qundo lei era ancora una bambina, la madre pure, morta alcolizzata in una strada di campagna della Moldavia. Eccoli i fantasmi, ecco perché cominciò a bere: per dimenticare, per finire come sua madre, per raggiungere i suoi genitori.

Moldavia, il Paese più povero d’Europa. Nata a Singerei: ragazzini ubriachi nei parchi, fango e neve nelle strade, autobus comunisti coi motori che sbuffano, carretti trainati da cavalli, donne coi fazzoletti in testa, palazzi sovietici con le stufe. E poi orfani bianchi, cresciuti senza madri partite per fare le badanti, oppure risucchiate dalla miseria. Era una di loro. L’ha confermato anche Alina, la sua migliore amica, moldava. Ha detto che Viorica era cresciuta in un orfanotrofio: l’assenza di carezze, l’Istituto come casa .. Ecco uno scatto da ragazzina, stringeva un peluche piu’ grande di lei, lo abbracciava come fosse il mondo intero.


Non aveva stelle a cui aggrapparsi, era assetata d’affetto, la tenerezza come urgenza. Ecco una foto consumata in bianco e nero, c’è una donna con un foulard in testa e dietro una montagna: è sua madre. La notte, prima di addormentarsi, le dava un bacio.

Quando era adolescente, Viorica si è innamorata, è rimasta incinta. Era in affidamento alla zia, che la fece abortire con la forza. Cosi’ scappo’ dalla Moldavia ed e’ arrivata in Italia con un amico. Prima a Milano, poi Rimini. Poi il matrimonio, l’illusione della famiglia. Voleva un figlio, sarebbe stato il nipotino dei suoi genitori. Con questo figlio, forse, avrebbe rivisto i loro occhi. E invece no: i medici le dissero che non poteva avere figli. Quell’aborto in gioventù le era stato fatale. E allora l’alcol, ancora l’alcol a spaccare gli inganni. Suo marito la porto’ dallo psicologo, fini’ male, si arrabbio’ scappo’ da casa dal balcone, la trovarono ubriaca sul lungomare romagnolo mezza nuda.

Alcol, sempre alcol, tutte le sere, tutte le notti. Nel mezzo, parentesi di normalità, soltanto sprazzi d’ordine. Il resto, un baratro di sofferenza, sempre in fuga dalla vita. Perfino suo marito alla fine cede e la lascia. Allora ritorna in Moldavia dopo il divorzio, gestisce un negozietto, finisce tutto in malora. Poi ancora l’Italia, chissà come, ma torna qui, nelle nostre strade. Finisce a Firenze, a Careggi, per curarsi al Centro alcologico, poi la stamberga, e questi anni senza via d’uscita.

La speranza e gli abbagli, la ripartenza e la voragine. E la solitudine, il vuoto di senso, l’abbandono ricevuto come pietra sul collo. Ma teneva dentro, teneva tutto dentro. Raccontava tutto soltanto ai gatti. Soltanto loro sapevano ascoltarla. Nella sua baracca ce n’erano almeno dieci, ognuno con un nome, come figli. Alla Croce Rossa, quando le portarono coperte, disse di tornare il giorno dopo per portare cibo ai gatti. Nel suo profilo Facebook sono ancora tutti lì. La sua pagina è sempre lì, nessuno l’ha cancellata. Resterà così, a memoria imperitura.. Viorica Zaiat, questo il suo nome. C’è il suo sorriso dolce e amaro, la vita che ha rincorso, i suoi gatti di tutti i colori. Loro sapevano tutto di lei. Noi invece no, non abbiamo avuto tempo di ascoltarla.

Addio Viorica non era soltan una senzatetto. Era una donna, una vita, una storia. E non possiamo dimenticare. La vita l’ha sconfitta. O forse invece no, adesso magari è felice per davvero. Perché in fondo, una volta fu lei a dirlo: «Voglio tornare dai miei genitori, con loro vivrò ancora». E allora forse è giusto ricordarla così, sorridente e gentile, aggrappata ai ricordi di una madre flagellata dal destino, nata dove la povertà gronda dal cielo. E chissà, magari è un’illusione, ma sarebbe bello se quel giardino in mezzo a Careggi lo intitolassero a lei, che l’ha abitato piu di altri, piantando fiori e accarezzando i suoi gatti.